GEVREY-CHAMBERTIN 1ER CRU CLOS SAINT JACQUES 2012 DI ARMAND ROUSSEAU
di FILIPPO APOLLINARI - 04 febbraio 2018
Traiettorie disordinate che si intrecciano tra vigne e domaine. La frotta di esploratori che anima i villaggi serafici della Côte d’Or si sparpaglia, nelle ore diurne, secondo celati ordini di marcia, prima di riunirsi, all’imbrunire, all’ombra dell’Hôtel-Dieu. Qui si celebra il rituale della stappatura cronica e compulsiva. Una cerimonia a cui è arduo e diffamante sottrarsi, sospinti dall’ebbro ardore che si cova durante il giorno.
Nella mia ultima scorreria borgognona, l’altare gastronomico di Bissoh ha accompagnato il sacrificio di una coppia di flaconi ridenti. Nientepopodimeno che il Meursault 1er Cru Goutte d'Or 2013 di Comte Lafon e il Gevrey-Chambertin 1er Cru Clos Saint Jacques 2012 di Armand Rousseau.
Nelle righe che seguono, dando seguito a un paio di ospitate nel domaine di Gevrey-Chambertin, racconto il versante rosso di questa coinvolgente bevuta.
IL CLOS SAINT JACQUES, UN GRAND CRU SOTTO MENTITE SPOGLIE
Il Clos Saint Jacques, antica tappa del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, omaggia con la sua toponomastica il martirio del Santo Giacomo il Maggiore. La cappella che sorge sul versante meridionale del muretto a secco che cinge questa vigna è una delle tante testimonianze che avvallano l'appartenenza del Clos Saint Jacques all'empireo.
Fin dal Basso Medioevo, aneddotica e critica sono state concordi nel ritenere questa vigna come una delle più prestigiose della Borgogna intera. Nel 1855 Jules Lavalle, nel classificare le vigne di Gevrey-Chambertin, attribuisce al Clos Saint Jacques il rango di "1ère Cuvée", alle spalle esclusivamente delle due "Tète de Cuvée" Chambertin e Chambertin Clos-de-Bèze.
Se oggi questa vigna non è ufficialmente un Grand Cru (ma lo è sotto mentite spoglie) lo si deve ad un groviglio di leggende e verità. Da un lato si trova la regola - scritta o meno, non è del tutto chiaro - secondo la quale potevano accedere al rango di Grand Cru solo le vigne adiacenti a Chambertin e Chambertin Clos-de-Bèze, dall'altro si trova il carattere irriverente e reazionario del Conte di Moucheron, che - secondo aneddoti più o meno leggendari - nel 1935 si rifiutò di seguire l'iter necessario per ascrivere la vigna al rango massimo.
Quello che è senz'altro vero è che il Conte riuscì, tuttavia, nell'impresa di riunire sotto la propria egida tutte le parcelle del Clos Saint Jacques, conservandone la proprietà in monopolio dal 1949 al 1955, quando, a causa del suo vizioso stile di vita, fu costretto a mettere all'asta l'intera vigna.
La vigna venne venduta in quattro lotti e ad accaparrarseli furono Armand Rousseau (2.21 ha), Pernot-Fourrier (oggi domaine Fourrier, 0.89 ha), Henri Esmonin (oggi domaine Sylvie Esmonin, 1.6 ha) e Clair-Daü (2 ha). Nel 1985 alcune vicissitudini dinastiche portarono il domaine Clair-Daü a vendere alcune parcelle a Louis Jadot, tra cui quella nel Grand Cru Chapelle-Chambertin e un ettaro nel Clos Saint Jacques. Il restante ettaro rimase al domaine di Geneviéve Bartet, madre di Bruno Clair. Quest'ultimo fu il regisseur del domaine materno dal 1986 al 1998, quando iniziò a commercializzare i vini prodotti con il marchio del proprio domaine.
Da quel momento, e fino a oggi, il Clos Saint Jacques è in mano a cinque diversi domaine, ciascuno dei quali è in possesso di una striscia vitata che dalla sezione apicale (345 m/slm) del climat scende fino al settore basale (290 m/slm).
NOTA BENE: per saperne di più leggi il più esaustivo articolo che sia stato scritto sulla storia del Clos Saint Jacques, a firma di Giancarlo Marino.
Riguardo la mera faccenda enologica, non mi dilungherò sulle noiose - piuttosto che annose - questioni di stile del domaine nei suoi passaggi generazionali. Sono meglio i vini di Armand o quelli Charles? Sono meglio quelli di Charles o quelli Eric? Un "che barba, che noia" di "mondainiana" memoria ci calza a pennello.
Per quanti apprezzino la maggiore esaltazione della materia prima (e un saldo aggiuntivo di rovere nuovo) dei vini di Eric, ci saranno sempre altrettanti nostalgici che prediligeranno i vini appena più lievi di Charles. Quello che è certo è che l'approccio agronomico, con quest'ultima generazione, si è fatto via via più sensibile, fino alla prossimità del biologico (non certificato) e che la voglia di accentuare l'espressività del frutto possa essere anche la naturale trasposizione dei sacrifici che si fanno in vigna attraverso il contenimento delle rese (leggi la preferenza del "cordon de royat" al più produttivo/eterogeneo guyot e l'insistenza sulle vendemmie verdi....quando a farle non è la natura, sigh!).
Nella mia ultima scorreria borgognona, l’altare gastronomico di Bissoh ha accompagnato il sacrificio di una coppia di flaconi ridenti. Nientepopodimeno che il Meursault 1er Cru Goutte d'Or 2013 di Comte Lafon e il Gevrey-Chambertin 1er Cru Clos Saint Jacques 2012 di Armand Rousseau.
Nelle righe che seguono, dando seguito a un paio di ospitate nel domaine di Gevrey-Chambertin, racconto il versante rosso di questa coinvolgente bevuta.
IL CLOS SAINT JACQUES, UN GRAND CRU SOTTO MENTITE SPOGLIE
Il Clos Saint Jacques, antica tappa del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, omaggia con la sua toponomastica il martirio del Santo Giacomo il Maggiore. La cappella che sorge sul versante meridionale del muretto a secco che cinge questa vigna è una delle tante testimonianze che avvallano l'appartenenza del Clos Saint Jacques all'empireo.
Fin dal Basso Medioevo, aneddotica e critica sono state concordi nel ritenere questa vigna come una delle più prestigiose della Borgogna intera. Nel 1855 Jules Lavalle, nel classificare le vigne di Gevrey-Chambertin, attribuisce al Clos Saint Jacques il rango di "1ère Cuvée", alle spalle esclusivamente delle due "Tète de Cuvée" Chambertin e Chambertin Clos-de-Bèze.
Se oggi questa vigna non è ufficialmente un Grand Cru (ma lo è sotto mentite spoglie) lo si deve ad un groviglio di leggende e verità. Da un lato si trova la regola - scritta o meno, non è del tutto chiaro - secondo la quale potevano accedere al rango di Grand Cru solo le vigne adiacenti a Chambertin e Chambertin Clos-de-Bèze, dall'altro si trova il carattere irriverente e reazionario del Conte di Moucheron, che - secondo aneddoti più o meno leggendari - nel 1935 si rifiutò di seguire l'iter necessario per ascrivere la vigna al rango massimo.
Quello che è senz'altro vero è che il Conte riuscì, tuttavia, nell'impresa di riunire sotto la propria egida tutte le parcelle del Clos Saint Jacques, conservandone la proprietà in monopolio dal 1949 al 1955, quando, a causa del suo vizioso stile di vita, fu costretto a mettere all'asta l'intera vigna.
La vigna venne venduta in quattro lotti e ad accaparrarseli furono Armand Rousseau (2.21 ha), Pernot-Fourrier (oggi domaine Fourrier, 0.89 ha), Henri Esmonin (oggi domaine Sylvie Esmonin, 1.6 ha) e Clair-Daü (2 ha). Nel 1985 alcune vicissitudini dinastiche portarono il domaine Clair-Daü a vendere alcune parcelle a Louis Jadot, tra cui quella nel Grand Cru Chapelle-Chambertin e un ettaro nel Clos Saint Jacques. Il restante ettaro rimase al domaine di Geneviéve Bartet, madre di Bruno Clair. Quest'ultimo fu il regisseur del domaine materno dal 1986 al 1998, quando iniziò a commercializzare i vini prodotti con il marchio del proprio domaine.
Da quel momento, e fino a oggi, il Clos Saint Jacques è in mano a cinque diversi domaine, ciascuno dei quali è in possesso di una striscia vitata che dalla sezione apicale (345 m/slm) del climat scende fino al settore basale (290 m/slm).
NOTA BENE: per saperne di più leggi il più esaustivo articolo che sia stato scritto sulla storia del Clos Saint Jacques, a firma di Giancarlo Marino.
Riguardo la mera faccenda enologica, non mi dilungherò sulle noiose - piuttosto che annose - questioni di stile del domaine nei suoi passaggi generazionali. Sono meglio i vini di Armand o quelli Charles? Sono meglio quelli di Charles o quelli Eric? Un "che barba, che noia" di "mondainiana" memoria ci calza a pennello.
Per quanti apprezzino la maggiore esaltazione della materia prima (e un saldo aggiuntivo di rovere nuovo) dei vini di Eric, ci saranno sempre altrettanti nostalgici che prediligeranno i vini appena più lievi di Charles. Quello che è certo è che l'approccio agronomico, con quest'ultima generazione, si è fatto via via più sensibile, fino alla prossimità del biologico (non certificato) e che la voglia di accentuare l'espressività del frutto possa essere anche la naturale trasposizione dei sacrifici che si fanno in vigna attraverso il contenimento delle rese (leggi la preferenza del "cordon de royat" al più produttivo/eterogeneo guyot e l'insistenza sulle vendemmie verdi....quando a farle non è la natura, sigh!).