IL FAVOLOSO MONDO DI PIERRE LAVAYSSE, LE PETIT DOMAINE DE GIMIOS
di VITALIANO MARCHI - 05 aprile 2017
Le Petit Domaine de Gimios è, come dice il nome stesso, una piccola tenuta di cinque ettari ubicata a Saint Jean de Minervois, paesino di 150 anime del dipartimento dell’Hérault, in quell’area collinare della Languedoc-Roussillon da cui si intravedono i Pirenei ed il confine con la Spagna.
Qui, Pierre Lavaysse, aiutato dalla madre Anne Marie, conduce l’azienda di famiglia in un ecosistema fondato sulla biodiversità, dove le vigne e la macchia mediterranea tipica di queste zone (garrigue) si fondono in un paesaggio omogeneo.
Le viti, allevate ad alberello, accolgono piante ultracentenarie, le cui radici si incuneano in un sottosuolo costituito da un massiccio calcareo piuttosto compatto, a cui si deve un terreno completamente ricoperto da ciottoli.
La conduzione della vigna segue i principi della biodinamica. Non si utilizzano ovviamente prodotti di sintesi, ma neppure zolfo, rame e fertilizzanti chimici o organici. Per proteggere le viti si utilizzano tisane e preparati a base di erbe aromatiche, raccolte da Anne-Marie, dinamizzate e somministrate alle piante che ne hanno bisogno. A completare un quadro che sembra provenire da altre epoche una mucca ed un asino che pascolano tranquillamente fra le viti.
Tra le varietà coltivate c’è il muscat à petit grain, utilizzato in solitaria per i vini bianchi, e una miscellanea di oltre venti vitigni autoctoni a bacca nera e bacca bianca per la produzione del rosato e dei rossi.
La vigna più amata è quella da cui proviene il vino di punta del domaine: il Rouge de Causse. Si tratta di una parcella costituita da viti ultracentenarie, alcune di epoca pre-fillosserica, che rappresentano un incredibile patrimonio storico ampelografico in rappresentanza di varietà rare e oramai quasi introvabili. Al fianco di carignano, syrah, cinsault e grenache si trovano, infatti, anche oeillade, terret, aramon e tante altre, rigorosamente vinificate insieme.
Anche la produzione di vino è quanto di più naturale si possa immaginare: pigiatura con i piedi, nessuna diraspatura, fermentazione con lieviti indigeni in contenitori d’acciaio, sosta sulle fecce fini sempre in acciaio. Nessuna aggiunta di solfiti, né in fase di vinificazione, né durante la fase di imbottigliamento, che normalmente avviene nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia.
L’incontro con Pierre è avvenuto a fine gennaio, in un clima di estrema cordialità. Lo abbiamo colto nella sua abitazione - dominata da un’altissima parete attrezzata per arrampicate - mentre stava preparando l’impasto per una pizza da offrire ad alcuni ospiti attesi per il pranzo. Quando ci ha scortato in vigna e in cantina, quello che pochi minuti prima poteva sembrare “solo” un ragazzo simpatico ed eccentrico, si è trasformato in un vignaiolo preciso e meticoloso, animato da idee semplici e chiare. Una sensazione di fluidità che abbiamo ritrovato durante l’assaggio dei suoi vini ancora in affinamento, che ci hanno conquistato per qualità e precisione stilistica.
Quando abbiamo lasciato il Domaine, circa un paio d’ore dopo, ce ne siamo andati con un solo rammarico: Pierre aveva già praticamente venduto tutta la produzione dell’anno precedente e ci ha messo a disposizione solo una bottiglia per tipologia, che abbiamo assaggiato pochi giorni fa con grande soddisfazione. Quelle che seguono sono le note di degustazione.
Qui, Pierre Lavaysse, aiutato dalla madre Anne Marie, conduce l’azienda di famiglia in un ecosistema fondato sulla biodiversità, dove le vigne e la macchia mediterranea tipica di queste zone (garrigue) si fondono in un paesaggio omogeneo.
Le viti, allevate ad alberello, accolgono piante ultracentenarie, le cui radici si incuneano in un sottosuolo costituito da un massiccio calcareo piuttosto compatto, a cui si deve un terreno completamente ricoperto da ciottoli.
La conduzione della vigna segue i principi della biodinamica. Non si utilizzano ovviamente prodotti di sintesi, ma neppure zolfo, rame e fertilizzanti chimici o organici. Per proteggere le viti si utilizzano tisane e preparati a base di erbe aromatiche, raccolte da Anne-Marie, dinamizzate e somministrate alle piante che ne hanno bisogno. A completare un quadro che sembra provenire da altre epoche una mucca ed un asino che pascolano tranquillamente fra le viti.
Tra le varietà coltivate c’è il muscat à petit grain, utilizzato in solitaria per i vini bianchi, e una miscellanea di oltre venti vitigni autoctoni a bacca nera e bacca bianca per la produzione del rosato e dei rossi.
La vigna più amata è quella da cui proviene il vino di punta del domaine: il Rouge de Causse. Si tratta di una parcella costituita da viti ultracentenarie, alcune di epoca pre-fillosserica, che rappresentano un incredibile patrimonio storico ampelografico in rappresentanza di varietà rare e oramai quasi introvabili. Al fianco di carignano, syrah, cinsault e grenache si trovano, infatti, anche oeillade, terret, aramon e tante altre, rigorosamente vinificate insieme.
Anche la produzione di vino è quanto di più naturale si possa immaginare: pigiatura con i piedi, nessuna diraspatura, fermentazione con lieviti indigeni in contenitori d’acciaio, sosta sulle fecce fini sempre in acciaio. Nessuna aggiunta di solfiti, né in fase di vinificazione, né durante la fase di imbottigliamento, che normalmente avviene nel mese di maggio dell’anno successivo alla vendemmia.
L’incontro con Pierre è avvenuto a fine gennaio, in un clima di estrema cordialità. Lo abbiamo colto nella sua abitazione - dominata da un’altissima parete attrezzata per arrampicate - mentre stava preparando l’impasto per una pizza da offrire ad alcuni ospiti attesi per il pranzo. Quando ci ha scortato in vigna e in cantina, quello che pochi minuti prima poteva sembrare “solo” un ragazzo simpatico ed eccentrico, si è trasformato in un vignaiolo preciso e meticoloso, animato da idee semplici e chiare. Una sensazione di fluidità che abbiamo ritrovato durante l’assaggio dei suoi vini ancora in affinamento, che ci hanno conquistato per qualità e precisione stilistica.
Quando abbiamo lasciato il Domaine, circa un paio d’ore dopo, ce ne siamo andati con un solo rammarico: Pierre aveva già praticamente venduto tutta la produzione dell’anno precedente e ci ha messo a disposizione solo una bottiglia per tipologia, che abbiamo assaggiato pochi giorni fa con grande soddisfazione. Quelle che seguono sono le note di degustazione.