LINO MAGA E IL BARBACARLO, UN MITO TRA ARTIGIANATO E TRADIZIONE
di VITALIANO MARCHI - 01 dicembre 2016
Ci sono vini che mi auguro diventino parte della memoria di ogni appassionato. Vini rivestiti da un’aura mitologica, sia perché numi tutelari di un intero territorio, sia perchè vettori di un’originalità inimitabile. Purtroppo, ahimè, molto spesso tra le loro caratteristiche c’è anche quella di essere inafferrabili per rarità o costo.
Non ho alcun timore a confidare che nel Barbacarlo di Lino Maga vedo una delle aure più luminose. Unico nel suo territorio per storia, caratteristiche e artigianalità, presenta anche un grosso vantaggio: nonostante la produzione limitata, la sua reperibilità, a costi popolari, non è certo una chimera, proprio come non è impresa ardua incontrarne l’artefice e vivere un’esperienza unica ascoltandone i racconti.
TERRITORIO E VITIGNI
L'eponima e ripida collina che ospita i vigneti del Barbacarlo porta lo stesso nome almeno dal 1886, come indicato in una carta catastale di questa porzione di provincia lombarda. Siamo in pieno Oltrepò Pavese, a due passi dal centro abitato del piccolo e grigio comune di Broni.
Questo territorio, famoso per gli spumanti Metodo Classico a base Pinot Nero, in passato era altrettanto importante per la produzione di vini rossi, spesso leggermente mossi, prodotti da varietà locali come la croatina, che andavano a rifornire gran parte dei consumi milanesi. L’arrivo delle grandi industrie in Lombardia segnò, come da tante altre parti in Italia, l’abbandono delle campagne a favore del lavoro in fabbrica, così da causare un vero e proprio sconvolgimento culturale e paesaggistico, con il bosco che si riappropriò velocemente di gran parte dei terreni un tempo impiantati a vigneto.
Le vigne del Barbacarlo, invece, insieme a quelle del Montebuono e del Ronchetto, tutte di proprietà della famiglia Maga, sono sempre rimaste al loro posto, a testimonianza della caparbietà e della risolutezza del proprietario. Ad abbracciarne i filari si stringono boschi di acacie.
Il terreno di questa zona è costituito da un conglomerato di sabbie giallastre e ciottoli ghiaiosi, attraversate da alcune venature rossastre ricche di ferro. Sotto a questo primo strato di terreno è presente una solidissima roccia di arenaria, che in alcuni punti tende ad emergere, impedendo qualsiasi tipo di impianto.
Anche i vitigni coltivati sono quelli di sempre, di un’antica idea contadina che prevedeva la promiscuità di alcune varietà locali: croatina per circa il 50%, ughetta (nome locale della vespolina) per il 30% e uva rara per il 20%. Sono poi presenti alcune viti di barbera che non rappresentano però una percentuale significativa.
LINO MAGA
Conoscere e ascoltare Lino Maga credo rappresenti un’esperienza che qualunque appassionato di vini dovrebbe fare. L'incontro pone di fronte un uomo schivo, quasi timido, ma al tempo stesso solido come una roccia, perfettamente conscio di quello che ha fatto e di ciò che ha ottenuto attraverso il coraggio delle proprie idee e una volontà inscalfibile.
Le sue parole si rivelano attraverso un tono serafico e lunghe pause che non fanno altro che accentuare l'autorevolezza del suo pensiero.
È penetrante l'orgoglio che svela nel descrivere le peripezie affrontate per quasi due decenni, dal 1970 al 1987, al fine di vedersi riconosciuto il diritto esclusivo all'utilizzo della menzione Barbacarlo. Una lunghissima ed estenuante battaglia legale contro Camera di Commercio locale ed Ente Tutela Vini, che avrebbero voluto invece estendere la dicitura ai vini prodotti in addirittura 45 comuni, fino ad arrivare al giudizio finale del Consiglio di Stato che gli diede completamente ragione.
Allo stesso modo si resta colpiti dalla nostalgia e dall’affetto che ancora dimostra nei confronti di quelli che lui definisce i suoi “amici fraterni”: Luigi Veronelli e Gianni Brera. Furono loro che, colpiti dai suoi vini, lo aiutarono a farli conoscere e lo sostennero nei momenti più difficili. Fare una visita al suo negozio di Broni, ricco di bottiglie, cimeli e massime che campeggiano alle pareti, sentirgli raccontare, con l’ eterna sigaretta fra le labbra, i tantissimi aneddoti legati alle frequentazioni di quei tempi, alle lunghissime chiacchierate che duravano tutta la notte, accompagnate da partite a carte, salame di Varzi ed ovviamente Barbacarlo, ci permette di fare un tuffo nel passato, quando il vino era ancora solidamente legato alla tradizione ed alla genuinità contadina.
Da diversi anni Lino Maga è supportato dal figlio Giuseppe, che lo sta progressivamente sostituendo alla guida dell’azienda. Sicuramente il ricambio generazionale non sarà semplice, come accade in tutti questi casi, ma se sarà accompagnato dalla passione e dalla determinazione sempre dimostrata dai Maga, non potrà che essere positivo e perchè no, portare magari quel pizzico di novità che potrebbe dare un’ulteriore spinta ad un’azienda così radicata nella tradizione.
IL BARBACARLO
Il “protocollo” di produzione del Barbacarlo potrebbe forse ergersi a manifesto del vino naturale: in vigna la coltivazione viene gestita senza alcun utilizzo di diserbanti e prodotti chimici; in cantina le uve vengono pigiate ed il mosto lasciato fermentare in vecchi tini di rovere, con una macerazione di circa una settimana a cappello sommerso utilizzando la tecnica della steccatura (alcune assi di rovere vengono poste a chiusura della parte superiore del tino, impedendo al cappello di emergere dalla parte liquida).
L’imbottigliamento viene effettuato verso aprile dell’anno successivo alla vendemmia, quando il vino conserva ancora un residuo zuccherino da cui deriva un’effervescenza che spesso si percepisce ancora dopo molti anni.
Passando alla degustazione, il Barbacarlo è un vino che risente in maniera evidente delle annate di produzione, così come riportato sul cartellino legato al collo di tutte le bottiglie. E’ un vino che va aspettato nel bicchiere e che sa regalare sensazioni sempre diverse: a volte giocoso ed allegro, a volte cupo e quasi scontroso, altre elegante ed austero. Può sorprendere per la facilità di beva di alcune annate recenti, come per la complessità e la tenacia che dimostra in alcune vecchie bottiglie. Di sicuro è un vino che non lascia indifferenti, che potrebbe anche non piacere ad alcuni, ma che andrebbe assaggiato quasi spogliandoci di tutte le regole di degustazione che abbiamo imparato, senza pregiudizi e lasciandoci trasportare dalle emozioni che saprà regalarci.
La degustazione di dodici annate che descriverò si è svolta qualche mese fa a Bologna, messa in piedi da quel vulcano organizzativo di Davide Gallia dell’Onav, alla presenza di Lino Maga e dello scrittore Valerio Bergamini, che ne ha recentemente scritto e pubblicato la biografia. Ho deciso di non mettere punteggi ma solo la descrizione dei vini degustati, come ho già accennato in precedenza, credo che per vini come questo il valore emozionale sia persino più importante di quello “oggettivo”, e non vorrei che riassumendo il giudizio in un numero si finisse con il distogliere l’attenzione dalla “bellezza a prescindere” del Barbacarlo.
Non ho alcun timore a confidare che nel Barbacarlo di Lino Maga vedo una delle aure più luminose. Unico nel suo territorio per storia, caratteristiche e artigianalità, presenta anche un grosso vantaggio: nonostante la produzione limitata, la sua reperibilità, a costi popolari, non è certo una chimera, proprio come non è impresa ardua incontrarne l’artefice e vivere un’esperienza unica ascoltandone i racconti.
TERRITORIO E VITIGNI
L'eponima e ripida collina che ospita i vigneti del Barbacarlo porta lo stesso nome almeno dal 1886, come indicato in una carta catastale di questa porzione di provincia lombarda. Siamo in pieno Oltrepò Pavese, a due passi dal centro abitato del piccolo e grigio comune di Broni.
Questo territorio, famoso per gli spumanti Metodo Classico a base Pinot Nero, in passato era altrettanto importante per la produzione di vini rossi, spesso leggermente mossi, prodotti da varietà locali come la croatina, che andavano a rifornire gran parte dei consumi milanesi. L’arrivo delle grandi industrie in Lombardia segnò, come da tante altre parti in Italia, l’abbandono delle campagne a favore del lavoro in fabbrica, così da causare un vero e proprio sconvolgimento culturale e paesaggistico, con il bosco che si riappropriò velocemente di gran parte dei terreni un tempo impiantati a vigneto.
Le vigne del Barbacarlo, invece, insieme a quelle del Montebuono e del Ronchetto, tutte di proprietà della famiglia Maga, sono sempre rimaste al loro posto, a testimonianza della caparbietà e della risolutezza del proprietario. Ad abbracciarne i filari si stringono boschi di acacie.
Il terreno di questa zona è costituito da un conglomerato di sabbie giallastre e ciottoli ghiaiosi, attraversate da alcune venature rossastre ricche di ferro. Sotto a questo primo strato di terreno è presente una solidissima roccia di arenaria, che in alcuni punti tende ad emergere, impedendo qualsiasi tipo di impianto.
Anche i vitigni coltivati sono quelli di sempre, di un’antica idea contadina che prevedeva la promiscuità di alcune varietà locali: croatina per circa il 50%, ughetta (nome locale della vespolina) per il 30% e uva rara per il 20%. Sono poi presenti alcune viti di barbera che non rappresentano però una percentuale significativa.
LINO MAGA
Conoscere e ascoltare Lino Maga credo rappresenti un’esperienza che qualunque appassionato di vini dovrebbe fare. L'incontro pone di fronte un uomo schivo, quasi timido, ma al tempo stesso solido come una roccia, perfettamente conscio di quello che ha fatto e di ciò che ha ottenuto attraverso il coraggio delle proprie idee e una volontà inscalfibile.
Le sue parole si rivelano attraverso un tono serafico e lunghe pause che non fanno altro che accentuare l'autorevolezza del suo pensiero.
È penetrante l'orgoglio che svela nel descrivere le peripezie affrontate per quasi due decenni, dal 1970 al 1987, al fine di vedersi riconosciuto il diritto esclusivo all'utilizzo della menzione Barbacarlo. Una lunghissima ed estenuante battaglia legale contro Camera di Commercio locale ed Ente Tutela Vini, che avrebbero voluto invece estendere la dicitura ai vini prodotti in addirittura 45 comuni, fino ad arrivare al giudizio finale del Consiglio di Stato che gli diede completamente ragione.
Allo stesso modo si resta colpiti dalla nostalgia e dall’affetto che ancora dimostra nei confronti di quelli che lui definisce i suoi “amici fraterni”: Luigi Veronelli e Gianni Brera. Furono loro che, colpiti dai suoi vini, lo aiutarono a farli conoscere e lo sostennero nei momenti più difficili. Fare una visita al suo negozio di Broni, ricco di bottiglie, cimeli e massime che campeggiano alle pareti, sentirgli raccontare, con l’ eterna sigaretta fra le labbra, i tantissimi aneddoti legati alle frequentazioni di quei tempi, alle lunghissime chiacchierate che duravano tutta la notte, accompagnate da partite a carte, salame di Varzi ed ovviamente Barbacarlo, ci permette di fare un tuffo nel passato, quando il vino era ancora solidamente legato alla tradizione ed alla genuinità contadina.
Da diversi anni Lino Maga è supportato dal figlio Giuseppe, che lo sta progressivamente sostituendo alla guida dell’azienda. Sicuramente il ricambio generazionale non sarà semplice, come accade in tutti questi casi, ma se sarà accompagnato dalla passione e dalla determinazione sempre dimostrata dai Maga, non potrà che essere positivo e perchè no, portare magari quel pizzico di novità che potrebbe dare un’ulteriore spinta ad un’azienda così radicata nella tradizione.
IL BARBACARLO
Il “protocollo” di produzione del Barbacarlo potrebbe forse ergersi a manifesto del vino naturale: in vigna la coltivazione viene gestita senza alcun utilizzo di diserbanti e prodotti chimici; in cantina le uve vengono pigiate ed il mosto lasciato fermentare in vecchi tini di rovere, con una macerazione di circa una settimana a cappello sommerso utilizzando la tecnica della steccatura (alcune assi di rovere vengono poste a chiusura della parte superiore del tino, impedendo al cappello di emergere dalla parte liquida).
L’imbottigliamento viene effettuato verso aprile dell’anno successivo alla vendemmia, quando il vino conserva ancora un residuo zuccherino da cui deriva un’effervescenza che spesso si percepisce ancora dopo molti anni.
Passando alla degustazione, il Barbacarlo è un vino che risente in maniera evidente delle annate di produzione, così come riportato sul cartellino legato al collo di tutte le bottiglie. E’ un vino che va aspettato nel bicchiere e che sa regalare sensazioni sempre diverse: a volte giocoso ed allegro, a volte cupo e quasi scontroso, altre elegante ed austero. Può sorprendere per la facilità di beva di alcune annate recenti, come per la complessità e la tenacia che dimostra in alcune vecchie bottiglie. Di sicuro è un vino che non lascia indifferenti, che potrebbe anche non piacere ad alcuni, ma che andrebbe assaggiato quasi spogliandoci di tutte le regole di degustazione che abbiamo imparato, senza pregiudizi e lasciandoci trasportare dalle emozioni che saprà regalarci.
La degustazione di dodici annate che descriverò si è svolta qualche mese fa a Bologna, messa in piedi da quel vulcano organizzativo di Davide Gallia dell’Onav, alla presenza di Lino Maga e dello scrittore Valerio Bergamini, che ne ha recentemente scritto e pubblicato la biografia. Ho deciso di non mettere punteggi ma solo la descrizione dei vini degustati, come ho già accennato in precedenza, credo che per vini come questo il valore emozionale sia persino più importante di quello “oggettivo”, e non vorrei che riassumendo il giudizio in un numero si finisse con il distogliere l’attenzione dalla “bellezza a prescindere” del Barbacarlo.