ROERO, UN NEBBIOLO CHE SORRIDE
di FILIPPO APOLLINARI - 05 febbraio 2017
L’ultima immagine rubata al Roero, in questa mia ennesima incursione, è quella di un lento divenire, con le vigne meno assolate rese baluginanti dallo strato di neve che stenta a sciogliersi sotto il pallido sole di queste giornate invernali. Una resistenza che si protrae dal 19 dicembre – giorno dell’unica nevicata fino a qui registrata – e che sembra una metafora dell’essenza roerina. Nonostante la pressione di Barolo e Barbaresco, le due denominazioni che giganteggiano sull’altra sponda del fiume Tanaro, il Roero cresce, lentamente ma cresce, e lo fa soprattutto attraverso quei produttori che ricercano con orgoglio l’intensità aromatica e l’eleganza tipiche di questo territorio. Una sfida più semplice sul fronte dell’Arneis, più complicata sul fronte del nebbiolo, dove la vicinanza delle Langhe ha suggerito troppo a lungo modelli di vini ipertrofici, lontani da quella spontaneità espressiva che è esclusiva del Roero. Perché quello che nasce qui è un nebbiolo solare, un nebbiolo che sorride.
IL TERRITORIO, TRA SCENOGRAFIE E PECULIARITÁ
Il Roero si trova nella sezione nord-orientale della provincia di Cuneo, alla sinistra orografica del fiume Tanaro, e costituisce il terzo polo vitivinicolo dell’albese, al fianco di Barolo e Barbaresco. La viticoltura si estende su circa 400 chilometri quadrati, suddivisi nei territori amministrativi di 19 comuni. La superficie vitata del territorio si aggira sui 2500 ettari, di cui circa 2100 iscritti alle quattro denominazioni principali che si sviluppano in esso: Roero Arneis (820ha), Barbera d’Alba (800ha), Nebbiolo d’Alba (590ha) e Roero (200ha). Il resto riguarda prevalentemente la Doc Langhe (Favorita, Nebbiolo e Chardonnay). Il sistema di allevamento è quasi esclusivamente la spalliera con potatura a “Guyot” e le densità medie d’impianto si aggirano sui 5000 ceppi/ha.
Le scenografie di Roero e Langhe, a dispetto della loro vicinanza, sono molto distanti. Quello che nelle Langhe appare come un vigneto privo di soluzione di continuità, nel Roero si trasforma in vigne più frazionate e scoscese, a tal punto da poter parlare in taluni casi di viticoltura eroica. I Terreni del Roero sono più giovani rispetto a quelli langaroli e risalgono alla fase pliocenica del Terziario. Mentre le Langhe sono dominate prevalentemente dalle marne, rocce sedimentarie di origine calcareo-argillosa con colori che variano dal biancastro al blu, il Roero è dominato dalle arenarie, rocce sedimentarie derivanti dalla compattazione delle sabbie. Proprio l’alta presenza di sabbia conferisce ai terreni roerini un carattere generalmente più soffice e permeabile con un pH più acido.
Nello specifico i terreni più sabbiosi sono quelli che interessano il cuore della denominazione, con particolare riferimento all’intero comune di Vezza D’Alba e alle parti di Monteu Roero e Montaldo Roero che si affacciano proprio su Vezza, dove si alternano quasi esclusivamente arneis e nebbiolo. Qui le caratteristiche di espressività e leggerezza, ma potremmo anche dire semplicemente di eleganza, sono spinte al massimo, come spesso dimostrato dai vini che nascono dalle ambite vigne “Valmaggiore” (a Vezza D’Alba) e “Occhetti” (a Monteu Roero). Non mancano, tuttavia, risultati di pari valore anche nelle aree limitrofe, dove la sabbia si unisce a marne maggiormente calcare e i vini cedono una piccola parte di eleganza per assumere una maggiore austerità; un esempio di questa situazione la si riscontra nel comune di Canale e nelle sue quotate vigne “Mompissano”, “Renesio” e “Torretta”. Lungo tutto il confine meridionale ed orientale della denominazione le marne sono la formazione prevalente ed in prossimità di Govone, nell’estremo nord-est del territorio, nascondono una vena gessosa ideale soprattutto per la barbera. Nell’estremità nord-ovest del comprensorio, invece, in corrispondenza del comune di Montà, si trovano i suoli argillosi più ricchi e giovani, quasi esclusivamente dedicati all’Arneis.
IL CLIMA del Roero è sostanzialmente arido, contraddistinto da una piovosità che raramente supera i 500/600 millimetri annuali rispetto ai 900 mm delle Langhe. Questa caratteristica, unitamente alla grande permeabilità dei suoli, contribuisce a rendere il Roero uno dei territori più precoci della regione, con vendemmie che, sul nebbiolo, possono anticipare di quasi una settimana la zona del Barbaresco e di dieci giorni quella del Barolo.
LA STORIA, DAGLI ALBORI AI GIORNI NOSTRI
L’era moderna della viticoltura roerina parte a metà degli anni Settanta, periodo in cui vengono realizzati i primi vigneti specializzati e in cui il lavoro svolto sull’arneis da un piccolo e valoroso gruppo di vignaioli - che vede in prima fila Gian Piero Bovone (Cornarea), Roberto Damonte (Malvirà), Giovanni Negro (Negro Angelo & Figli) e Bruno Giacosa - inizia a regalare i primi stimolanti risultati.
Così scrive Mario Soldati nel suo capolavoro “Vino al Vino” (autunno 1975): “Un vino prezioso di Bruno Giacosa: l’Arneis, vino che non stanca. Giacosa continua a stappare bottiglie con faville di follia nello sguardo, come un artista consapevole dello scopo ultimo dell’arte: una sublime inutilità.”
Lo stesso sguardo l’ho ritrovato a settembre dello scorso anno negli occhi di Pier Bovone, dell’azienda Cornarea, quando al termine di una rassicurante sessione di assaggi ha stappato uno splendente Arneis del 1983, miracolosamente scampato a un’alluvione. Una vera esperienza per questa varietà, il “Nebbiolo Bianco dei Roeri”, che oggi attraverso la denominazione Roero Arneis traina in solitaria il territorio con 5,3 milioni di bottiglie prodotte contro le 480 mila del Roero.
L’attenzione sul nebbiolo arriva solo a metà degli anni Ottanta, quando un nugolo di vignaioli, “capitanati” dal compianto Matteo Correggia, inizia a investire energie e risorse su questa varietà con l’intento di arrivare a un grande vino locale, in grado di concorrere con le migliori espressioni enologiche nazionali. Un percorso che ha dovuto superare negli anni numerose difficoltà, dalla perdita prematura di Matteo, il leader morale e simbolico di questo ambizioso progetto, all’incapacità di rimanere immune alle mode “concentrative” degli anni Novanta. Colpi duri per il territorio, a cui si deve aggiungere il rammarico per il mancato sostegno di tutti quei produttori – troppi – che scelgono ancora di rivendicare in etichetta la più commerciabile e accattivante Doc “Nebbiolo d’Alba” piuttosto che la Docg Roero.
Nonostante ciò, il progetto “Roero” continua a raccogliere sempre più sostenitori (oggi può contare su 299 unità vitate per 200 ha), provati dalla notevole “pressione commerciale” prodotta dalle Langhe, ma estremamente convinti della validità del percorso intrapreso.
A rinvigorire il comparto produttivo - e ad arricchirlo di sfumature più vivaci - oggi c’è finalmente anche una nuova generazione di vignaioli, guidati da un profondo spirito di appartenenza. Luca Faccenda (azienda Valfaccenda), Alberto Oggero e Enrico Cauda (Cascina Fornace) sono parte del nuovo che avanza, e lo fa con un entusiasmo contagioso. La loro associazione “Solo Roero”, aperta solo a chi si limita a rivendicare le denominazioni di origine Roero e Roero Arneis, è un’importante testimonianza di quell’orgoglio necessario a fare crescere il territorio.
IL DISCIPLINARE
Dopo la modifica del 2014 - e in attesa dell’approvazione delle “Menzioni Geografiche Aggiuntive” (128 le vigne censite) – la denominazione di origine controllata e garantita “Roero” (Doc 1985 – Docg 2004) prevede l’esistenza di cinque tipologie.
La dicitura “Roero” Arneis è riservata al vino Bianco ottenuto per il 95% dal vitigno Arneis e per un 5% da altre varietà non aromatiche idonee alla coltivazione in Piemonte. Per il “Roero” Arneis non è previsto invecchiamento minimo, condizione che invece è prevista per la tipologia “Roero Arneis Riserva”, che impone un invecchiamento minimo di 16 mesi.
CONSIGLI PER LA LETTURA
Quella che segue, senza alcuna presunzione di esaustività, è una selezione dei migliori Roero assaggiati durante l’anno appena trascorso, che sono poi stati inseriti in una sessione d’assaggio di una trentina di vini. L’aspetto più confortevole, ancora più della mera qualità dei vini, è riconducibile a una crescente schiera di vini sempre più fedeli alla natura del territorio roerino e sempre più incuranti di quello che avviene al di là del Tanaro. La strada sembra quella giusta.
IL TERRITORIO, TRA SCENOGRAFIE E PECULIARITÁ
Il Roero si trova nella sezione nord-orientale della provincia di Cuneo, alla sinistra orografica del fiume Tanaro, e costituisce il terzo polo vitivinicolo dell’albese, al fianco di Barolo e Barbaresco. La viticoltura si estende su circa 400 chilometri quadrati, suddivisi nei territori amministrativi di 19 comuni. La superficie vitata del territorio si aggira sui 2500 ettari, di cui circa 2100 iscritti alle quattro denominazioni principali che si sviluppano in esso: Roero Arneis (820ha), Barbera d’Alba (800ha), Nebbiolo d’Alba (590ha) e Roero (200ha). Il resto riguarda prevalentemente la Doc Langhe (Favorita, Nebbiolo e Chardonnay). Il sistema di allevamento è quasi esclusivamente la spalliera con potatura a “Guyot” e le densità medie d’impianto si aggirano sui 5000 ceppi/ha.
Le scenografie di Roero e Langhe, a dispetto della loro vicinanza, sono molto distanti. Quello che nelle Langhe appare come un vigneto privo di soluzione di continuità, nel Roero si trasforma in vigne più frazionate e scoscese, a tal punto da poter parlare in taluni casi di viticoltura eroica. I Terreni del Roero sono più giovani rispetto a quelli langaroli e risalgono alla fase pliocenica del Terziario. Mentre le Langhe sono dominate prevalentemente dalle marne, rocce sedimentarie di origine calcareo-argillosa con colori che variano dal biancastro al blu, il Roero è dominato dalle arenarie, rocce sedimentarie derivanti dalla compattazione delle sabbie. Proprio l’alta presenza di sabbia conferisce ai terreni roerini un carattere generalmente più soffice e permeabile con un pH più acido.
Nello specifico i terreni più sabbiosi sono quelli che interessano il cuore della denominazione, con particolare riferimento all’intero comune di Vezza D’Alba e alle parti di Monteu Roero e Montaldo Roero che si affacciano proprio su Vezza, dove si alternano quasi esclusivamente arneis e nebbiolo. Qui le caratteristiche di espressività e leggerezza, ma potremmo anche dire semplicemente di eleganza, sono spinte al massimo, come spesso dimostrato dai vini che nascono dalle ambite vigne “Valmaggiore” (a Vezza D’Alba) e “Occhetti” (a Monteu Roero). Non mancano, tuttavia, risultati di pari valore anche nelle aree limitrofe, dove la sabbia si unisce a marne maggiormente calcare e i vini cedono una piccola parte di eleganza per assumere una maggiore austerità; un esempio di questa situazione la si riscontra nel comune di Canale e nelle sue quotate vigne “Mompissano”, “Renesio” e “Torretta”. Lungo tutto il confine meridionale ed orientale della denominazione le marne sono la formazione prevalente ed in prossimità di Govone, nell’estremo nord-est del territorio, nascondono una vena gessosa ideale soprattutto per la barbera. Nell’estremità nord-ovest del comprensorio, invece, in corrispondenza del comune di Montà, si trovano i suoli argillosi più ricchi e giovani, quasi esclusivamente dedicati all’Arneis.
IL CLIMA del Roero è sostanzialmente arido, contraddistinto da una piovosità che raramente supera i 500/600 millimetri annuali rispetto ai 900 mm delle Langhe. Questa caratteristica, unitamente alla grande permeabilità dei suoli, contribuisce a rendere il Roero uno dei territori più precoci della regione, con vendemmie che, sul nebbiolo, possono anticipare di quasi una settimana la zona del Barbaresco e di dieci giorni quella del Barolo.
LA STORIA, DAGLI ALBORI AI GIORNI NOSTRI
L’era moderna della viticoltura roerina parte a metà degli anni Settanta, periodo in cui vengono realizzati i primi vigneti specializzati e in cui il lavoro svolto sull’arneis da un piccolo e valoroso gruppo di vignaioli - che vede in prima fila Gian Piero Bovone (Cornarea), Roberto Damonte (Malvirà), Giovanni Negro (Negro Angelo & Figli) e Bruno Giacosa - inizia a regalare i primi stimolanti risultati.
Così scrive Mario Soldati nel suo capolavoro “Vino al Vino” (autunno 1975): “Un vino prezioso di Bruno Giacosa: l’Arneis, vino che non stanca. Giacosa continua a stappare bottiglie con faville di follia nello sguardo, come un artista consapevole dello scopo ultimo dell’arte: una sublime inutilità.”
Lo stesso sguardo l’ho ritrovato a settembre dello scorso anno negli occhi di Pier Bovone, dell’azienda Cornarea, quando al termine di una rassicurante sessione di assaggi ha stappato uno splendente Arneis del 1983, miracolosamente scampato a un’alluvione. Una vera esperienza per questa varietà, il “Nebbiolo Bianco dei Roeri”, che oggi attraverso la denominazione Roero Arneis traina in solitaria il territorio con 5,3 milioni di bottiglie prodotte contro le 480 mila del Roero.
L’attenzione sul nebbiolo arriva solo a metà degli anni Ottanta, quando un nugolo di vignaioli, “capitanati” dal compianto Matteo Correggia, inizia a investire energie e risorse su questa varietà con l’intento di arrivare a un grande vino locale, in grado di concorrere con le migliori espressioni enologiche nazionali. Un percorso che ha dovuto superare negli anni numerose difficoltà, dalla perdita prematura di Matteo, il leader morale e simbolico di questo ambizioso progetto, all’incapacità di rimanere immune alle mode “concentrative” degli anni Novanta. Colpi duri per il territorio, a cui si deve aggiungere il rammarico per il mancato sostegno di tutti quei produttori – troppi – che scelgono ancora di rivendicare in etichetta la più commerciabile e accattivante Doc “Nebbiolo d’Alba” piuttosto che la Docg Roero.
Nonostante ciò, il progetto “Roero” continua a raccogliere sempre più sostenitori (oggi può contare su 299 unità vitate per 200 ha), provati dalla notevole “pressione commerciale” prodotta dalle Langhe, ma estremamente convinti della validità del percorso intrapreso.
A rinvigorire il comparto produttivo - e ad arricchirlo di sfumature più vivaci - oggi c’è finalmente anche una nuova generazione di vignaioli, guidati da un profondo spirito di appartenenza. Luca Faccenda (azienda Valfaccenda), Alberto Oggero e Enrico Cauda (Cascina Fornace) sono parte del nuovo che avanza, e lo fa con un entusiasmo contagioso. La loro associazione “Solo Roero”, aperta solo a chi si limita a rivendicare le denominazioni di origine Roero e Roero Arneis, è un’importante testimonianza di quell’orgoglio necessario a fare crescere il territorio.
IL DISCIPLINARE
Dopo la modifica del 2014 - e in attesa dell’approvazione delle “Menzioni Geografiche Aggiuntive” (128 le vigne censite) – la denominazione di origine controllata e garantita “Roero” (Doc 1985 – Docg 2004) prevede l’esistenza di cinque tipologie.
- “Roero”;
- “Roero” Riserva;
- “Roero” Arneis;
- “Roero” Arneis Riserva;
- “Roero” Arneis Spumante;
La dicitura “Roero” Arneis è riservata al vino Bianco ottenuto per il 95% dal vitigno Arneis e per un 5% da altre varietà non aromatiche idonee alla coltivazione in Piemonte. Per il “Roero” Arneis non è previsto invecchiamento minimo, condizione che invece è prevista per la tipologia “Roero Arneis Riserva”, che impone un invecchiamento minimo di 16 mesi.
CONSIGLI PER LA LETTURA
Quella che segue, senza alcuna presunzione di esaustività, è una selezione dei migliori Roero assaggiati durante l’anno appena trascorso, che sono poi stati inseriti in una sessione d’assaggio di una trentina di vini. L’aspetto più confortevole, ancora più della mera qualità dei vini, è riconducibile a una crescente schiera di vini sempre più fedeli alla natura del territorio roerino e sempre più incuranti di quello che avviene al di là del Tanaro. La strada sembra quella giusta.